mercoledì 28 marzo 2012

PROVOS . di Vincenzo Zamboni


PROVOS . di Vincenzo Zamboni


pubblicata da Vincenzo Zamboni il giorno mercoledì 28 marzo 2012 alle ore 16.46 ·
..... l'unica via di uscita dei blousons noir è o una presa di coscienza rivoluzionaria o l'obbedienza cieca nelle fabbriche.i provos costituiscono la prima forma di superamento dei blousons noir, l'organizzazione della sua prima espressione politica.
sono nati dall'incontro tra i rifiuti dell'arte decomposta in cerca di successo e una massa di giovani ribelli in cerca di affermazione. la loro organizzazione ha permesso agli uni e agli altri di avanzare e di accedere a un nuovo tipo di contestazione. gli "artisti" hanno portato alcune tendenze al gioco ancora molto mistificate, accoppiate a un guazzabuglio ideologico; i giovani ribelli non avevano dal canto loro che la violenza della rivolta. fin dall'inizio della loro organizzazione le due tendenze sono rimaste distinte; la massa senza storia si è trovata di colpo sotto la tutela di una piccola classe dirigente sospetta che cerca di mantenere il potere con la secrezione di una nuova ideologia provotoria. non si è verificato il passaggio dalla violenza dei bluosons noir sul piano delle idee, nel tentativo di superare l'arte, anzi è stato il riformismo neo-artistico che si è imposto. i provos sono l'espressione dell'ultimo tentativo di riformismo prodotto dal capitalismo moderno: quello della vita quotiodiana.
mentre e' ASSOLUTAMENTE NECESSARIA UNA RIVOLUZIONE ININTERROTTA PER CAMBIARE LA VITA. la gerarchia provos crede, come bernstein credeva di trasformare il capitalismo in socialismo con le riforme, che sia sufficiente apportare qualche miglioramento per cambiare la vita quotidiana. i provos, scegliendo il frammentario, finiscono per accettare la totalità. per darsi una base i loro dirigenti hanno inventato la ridicola teoria del provotariato (pasticcio artistico-politico ingenuamente preparato con i resti ammuffiti di una festa che non hanno conosciuto), destinata secondo loro a opporsi alla pretesa passività e all'imborghesimento del proletariato, ritornello di tutti gli imbecilli del secolo.
disperando di trasformare la totalità, disperano delle sole forze che sono portatrici di speranza per un superamento di cui esiste effettivamente la possibilità. il proletariato è il motore della società capitalistica, e perciò il suo nemico mortale. tutto è fatto per reprimerlo (i partiti, i sindacati burocratici, la polizia più spesso diretta contro i proletari che contro i provos, la colonizzazione di tutta la sua vita) perchè il proletariato è l'unica forza veramente pericolosa per il sistema. 
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(aa.vv., ma l'amor mio non muore, arcana editrice, roma, nov 1971).
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di fronte alle prime manifestazioni del movimento di contestazione, risaltano alcune osservazioni.
anzitutto che la necessaria rivoluzione o è ininterrotta, quotidiana, o non è. bisogna ripensare il mondo da capo, fin dalla sua origine. il cambiamento dell'esistenza codificata entro i limiti dello status quo si può svolgere solo voltandone e rivoltandone ogni giorno tutte le pieghe che si infiltrano nella vita del sistema, poichè, dopotutto, il sistema non è un animale separato dalla società, il sistema è: tutti noi, autori di tutti i nostri pensieri, parole, opere, istante dopo istante, nella reiterazione o dissoluzione critica delle modalità ereditate.
lo sapeva bene anche albert einstein: "il mondo umano è fatto dai pensieri umani, perciò se volgiamo un altro mondo dobbiamo cambiare i nostri pensieri". e l'essere umano è un essere pensante, progettista e revisionista continuo della propria progettualità di agire. istante per istante vive, istante per istante pensa progetta sceglie ed istante per istante agisce, sicchè la rivoluzione della sua vita passa attraverso la ri-percezione e ri-elaborazione di tutto il suo essere quotidiano.
purchè tale rivolgimento ininterrotto raggiunga e trasformi la totalità, senza fermarsi ai margini, ai territori liberi, reintegrabili nel sistema come le riserve pellerossa.
una società complessivamente ipnotizzata intorno agli scambi e accumuli di valore è persino dimentica della sua vera origine: il lavoro, e lo sfruttamento del lavoro, che fa apparire le briciole di oro al vertice della piramide con cui la base viene schiacciata.
produrre per i bisogni, non per il profitto, significa sovvertire alla radice tutte le basi operative dell'agire sociale, in ogni loro manifestazione. una trasformazione inevitabile, per chiunque voglia far riemergere la vita dalle ceneri della galera sociale totalizzante, della tirannide politica che tutto vuole inglobare in una unica grande catena di montaggio a ciclo continuo, con lo stato padrone a controllare le formiche uomo incatenate alla produzione di merci e produzione di ideologia mercificata.
questa trasformazione si chiama liberazione: liberazione della vita contro la morte delle catene di sfruttamento dell'uomo sull'uomo. una trasformazione certamente estranea al macabro teatrino mediaticoparlamentare, con le sue mani perennemente grondanti sangue e la sua ferocia cieca di regime.


commenti:

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