Dominus del potere sub-europeo, Renzi manovra per durare
Durare nel tempo e imporsi come nuova struttura di potere:
questo, per Alfonso Gianni, il senso della manovra varata da Renzi con
la legge di stabilità. Operazione ambiziosa: da un lato l’apertura di
una «lunga campagna elettorale, la cui prima tappa è costituita dalle
amministrative della prossima primavera in quasi tutte le città più
importanti del paese, vere e proprie “midterm elections in salsa
italiana”». Ma, al di là del puro ritorno elettorale, la manovra «vuole
consolidare un blocco di potere
articolato e allo stesso tempo coeso, di cui il Pd deve essere l’unico
rappresentante politico, anzi il dominus». L’esito delle elezioni 2016
non è scontato, visti i poco soddisfacenti risultati in precedenti
elezioni locali, «a dimostrazione che la distruzione dei corpi
intermedi, asse strategico dell’azione renziana, che comincia dalla
liquidazione del suo stesso partito, ha degli effetti collaterali
indesiderati, quali la mancanza di una classe dirigente diffusa e
fedele». Inoltre, a orientare la manovra è il timore dei “censori” di
Bruxelles, visto che il governo «ambisce ad essere niente altro che
un’articolazione del sistema di potere delle élite economiche e politiche europee».
Da
qui, scrive Gianni sul “Manifesto”, la centralità della cosiddetta
riforma fiscale, «definita con la consueta modestia una “rivoluzione
copernicana”». I proprietari di 75.000 case di lusso e palazzi ne
trarranno ampi benefici, almeno 2.800 euro in media a testa. «Non
importa se a farne le spese sarà la sanità o altri istituti dello stato
sociale, un tempo misura della nostra civiltà. Diceva il grande
Petrolini: quando bisogna prendere i soldi li si cavano ai poveri, ne
hanno pochi ma sono tanti. Quindi, se si fa il contrario, ovvero si
concedono generosi sgravi fiscali, meglio farlo con i ricchi, perché
sono meno e hanno più potere».
Per questo, continua Gianni, «la più grande “riforma fiscale di tutti i
tempi”, secondo un’altra sobria definizione del suo autore, va oltre al
copia e incolla di quella berlusconiana». Il vecchio leader di Arcore,
almeno, «ci metteva un po’ di populismo e parlava di una seconda fase
dedicata all’alleggerimento della pressione fiscale sulle persone
fisiche». Invece, «Renzi prevede che il secondo step deve riguardare le
aziende, cioè l’Irap e l’Ires. Il resto viene dopo, se viene. E Squinzi,
dopo qualche incomprensione, si riaccende di amore verso il governo».
Il
boss di Confindustria sembra confortato anche dai propositi del leader:
intervenire d’autorità sullo svuotamento della rappresentanza sindacale
e sulla liquidazione del contratto collettivo nazionale, «usando come
piede di porco l’innocente salario minimo orario legale, ancora da
definire». E qui, per Alfonso Gianni, «si scende negli inferi del
diabolico». Il taglio dell’Ires? «Verrebbe condizionato al via libera
della Ue sulla flessibilità per i costi dell’ondata migratoria. Ovvero i
migranti e i profughi, quelli che sopravvivono alla guerra
per terra e per mare in atto contro di loro, verrebbero usati come
merce di scambio per ridurre le imposte sul reddito d’impresa. Ma un
occhio di riguardo bisogna pur tenerlo anche per gli evasori fiscali:
non pagano le tasse, ma votano come gli altri. Ecco quindi sbucare
l’innalzamento della quota di contante da mille a tremila euro per ogni
singolo pagamento, in modo da renderne impossibile la tracciabilità».
Renzi
vuole durare, insiste Gianni. «Per farlo, dopo la distruzione
sistematica dei corpi intermedi della società civile, deve dare vita a
un nuovo blocco di potere
con collanti tenaci». Le “controriforme” costituzionali, istituzionali
ed elettorali in atto potranno essere smantellate, forse, solo a colpi
di referendum. Ma intanto il governo Renzi si fa cinghia di trasmissione
del super-potere
di Bruxelles, «espresso dagli organi ademocratici della Ue», e in
Italia diventa «strumento di disarticolazione di ogni potenziale
schieramento sociale antagonista», provando a cooptare «strati e settori
sociali utili a puntellare un sistema che non sopporta la dualità
sociale attiva, cioè il conflitto».
Durare nel tempo e imporsi come nuova struttura di potere:
questo, per Alfonso Gianni, il senso della manovra varata da Renzi con
la legge di stabilità. Operazione ambiziosa: da un lato l’apertura di
una «lunga campagna elettorale, la cui prima tappa è costituita dalle
amministrative della prossima primavera in quasi tutte le città più
importanti del paese, vere e proprie “midterm elections in salsa
italiana”». Ma, al di là del puro ritorno elettorale, la manovra «vuole
consolidare un blocco di potere
articolato e allo stesso tempo coeso, di cui il Pd deve essere l’unico
rappresentante politico, anzi il dominus». L’esito delle elezioni 2016
non è scontato, visti i poco soddisfacenti risultati in precedenti
elezioni locali, «a dimostrazione che la distruzione dei corpi
intermedi, asse strategico dell’azione renziana, che comincia dalla
liquidazione del suo stesso partito, ha degli effetti collaterali
indesiderati, quali la mancanza di una classe dirigente diffusa e
fedele». Inoltre, a orientare la manovra è il timore dei “censori” di
Bruxelles, visto che il governo «ambisce ad essere niente altro che
un’articolazione del sistema di potere delle élite economiche e politiche europee».Da qui, scrive Gianni sul “Manifesto”, la centralità della cosiddetta riforma fiscale, «definita con la consueta modestia una “rivoluzione copernicana”». I proprietari di 75.000 case di lusso e palazzi ne trarranno ampi benefici, almeno 2.800 euro in media a testa. «Non importa se a farne le spese sarà la sanità o altri istituti dello stato sociale, un tempo misura della nostra civiltà. Diceva il grande Petrolini: quando bisogna prendere i soldi li si cavano ai poveri, ne hanno pochi ma sono tanti. Quindi, se si fa il contrario, ovvero si concedono generosi sgravi fiscali, meglio farlo con i ricchi, perché sono meno e hanno più potere». Per questo, continua Gianni, «la più grande “riforma fiscale di tutti i tempi”, secondo
un’altra sobria definizione del suo autore, va oltre al copia e incolla di quella berlusconiana». Il vecchio leader di Arcore, almeno, «ci metteva un po’ di populismo e parlava di una seconda fase dedicata all’alleggerimento della pressione fiscale sulle persone fisiche». Invece, «Renzi prevede che il secondo step deve riguardare le aziende, cioè l’Irap e l’Ires. Il resto viene dopo, se viene. E Squinzi, dopo qualche incomprensione, si riaccende di amore verso il governo».
Il boss di Confindustria sembra confortato anche dai propositi del leader: intervenire d’autorità sullo svuotamento della rappresentanza sindacale e sulla liquidazione del contratto collettivo nazionale, «usando come piede di porco l’innocente salario minimo orario legale, ancora da definire». E qui, per Alfonso Gianni, «si scende negli inferi del diabolico». Il taglio dell’Ires? «Verrebbe condizionato al via libera della Ue sulla flessibilità per i costi dell’ondata migratoria. Ovvero i migranti e i profughi, quelli che sopravvivono alla guerra per terra e per mare in atto contro di loro, verrebbero usati come merce di scambio per ridurre le imposte sul reddito d’impresa. Ma un occhio di riguardo bisogna pur tenerlo anche per gli evasori fiscali: non pagano le tasse, ma votano come gli altri. Ecco quindi sbucare l’innalzamento della quota di contante da mille a tremila euro per ogni singolo pagamento, in modo da renderne impossibile la tracciabilità».
Renzi vuole durare, insiste Gianni. «Per farlo, dopo la distruzione sistematica dei corpi intermedi della società civile, deve dare vita a un nuovo blocco di potere con collanti tenaci». Le “controriforme” costituzionali, istituzionali ed elettorali in atto potranno essere smantellate, forse, solo a colpi di referendum. Ma intanto il governo Renzi si fa cinghia di trasmissione del super-potere di Bruxelles, «espresso dagli organi ademocratici della Ue», e in Italia diventa «strumento di disarticolazione di ogni potenziale schieramento sociale antagonista», provando a cooptare «strati e settori sociali utili a puntellare un sistema che non sopporta la dualità sociale attiva, cioè il conflitto».
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