" LA NATO VA DISCIOLTA" Resoconto del gesto eroico di Marinella Correggia
Redazione | 26-10-2015 Categoria: Società
Redazione | 26-10-2015 Categoria: Società
Trapani. "La Nato va disciolta" - Resoconto del gesto eroico di Marinella Correggia raccontato dal di dentro e dal di fuori
Marinella Correggia, 19/10/2015
“LA NATO VA SCIOLTA”. “LA NATO ROMPE E NON PAGA MAI”. Racconto
di una piccola azione diretta nonviolenta (cartello e discorsetto)
davanti al Vicesegretario Generale della NATO Alexander Vershbow e a
militari assortiti , durante la conferenza stampa di presentazione delle
manovre Trident Juncture, Aeroporto militare di Trapani, mattina del 19
ottobre 2015. Successivo resoconto della cerimonia e della mostra di
velovoli da guerra e altre bellezze. Poesia finale, per un mondo
post-nato. Vedasi articolo e foto di Panorama.
Un
modello di riferimento inarrivabile, per un’azione diretta durante un
conferenza stampa? Munthazar al Zaidi, il giornalista iracheno che a
Baghdad lanciò le sue scarpe a George W. Bush urlando «in nome delle
vedove, degli orfani e del milione di uccisi in Iraq». Finì in carcere, e
torturato, per quasi un anno: vilipendio di capo di Stato estero.
Dire a Vershbow che l’organizzazione è criminale e va dissolta
Marinella Correggia
Andiamo
per ordine. Vershbow ripete quel che ha detto poco prima, alla
cerimonia di apertura. La solfa è «le esercitazioni della Nato sono
vitali per la sicurezza, la democrazia nel mondo, l’autodifesa»;
infatti, «ogni giorno ci sono nuove sfide; così dimostriamo che possiamo
difendere ogni alleato». Grandi minacce contro i valorosi paesi membri
si addensano infatti cupe e infingarde. Vengono da Est, «la Russia si è
annessa la Crimea», da Sud, «la Russia è entrata in guerra in Siria»
(che Mosca sia l’unica a combattere con successo contro il califfato e a
farlo autorizzata dal governo locale come richiede l’Onu – lo h detto
forse meglio di tutti famiglia cristiana giorni fa -, non importa). E
l’Alleanza è estremamente impegnata contro il terrorismo, visto che «gli
Stati falliti come la Libia e la Siria fanno sì che i gruppi estremisti
avanzino».
Dopo
alcune domande falso-provocatorie da parte di testate italiane ed
estere («Perché non dite che la Trident guarda alla minaccia da parte
della Russia?») e le risposte («ma no non è così»), ha inizio l’azione
diretta. Intanto il microfono ottenuto per fare la domandina diventa
occasione per un sermoncino – scritto sul notes - rivolto al
vicesegretario; quindi in inglese - inutile parlare ai responsabili
italiani. Ecco qua (e chissà se ne è rimasta traccia): «Lei ha detto che
la Nato combatte il terrorismo, ha anche nominato la Libia e la Siria
come Stati falliti. Ha parlato di autodifesa collettiva dei membri. Ma
in realtà fu proprio, nel 2011, la guerra della Nato in Libia,
travalicando il mandato dell’Onu, a trasformarla in Stato fallito, a
mettere al potere jihadisti e a contribuire al diffondere di gang
terroriste. E sono i paesi membri della Nato a fare in modo diretto e
indiretto guerre che rovinano nazioni e distruggono; altro che
autodifesa. Di recente poi, il bombardamento per mezz’ora e più
dell’ospedale a Kunduz, in Afghanistan. Allora, nonostante tutto questo
tragic record, questa storia tragica, come mai la Nato non viene mai
incriminata? Al massimo paga una piccola mancia ai familiari delle
vittime… ». Il parlato è meno chiaro di così, vista la concitazione, ma è
lungo così. Loro lasciano parlare. Devono mostrarsi buoni, non far
scoppiare il caso. L’Italia è democratica, la Nato di più.
Prima
che Vershbow risponda, ecco il cartello alzato, per lui lì davanti e
per le telecamere lì dietro. Su carta quasi velina per nasconderla
meglio in borsa, l scritta è con pastelli a cera ma oleosi, mal
calcolati (sbavano, l’acquerello rende meglio). Su un lato, in inglese,
«Nato must dissolve»; sull’altro «Nato never pays for crimes» (monco, in
effetti, ma chiaro). Ovviamente le mani di un soldato di vedetta si
allungano subito e strappano via l’inelegante intrusa: la carta, mentre
l’attivista sotto mentite spoglie viene lasciata lì seduta, la Nato è
democratica e protegge i civili, anche quelli ottusi.
Vershbow
risponde compito, come a una vera domanda: «La Nato in Libia ha
protetto i civili, abbiamo agito per evitare una strage» (ormai si sa
che è tutto falso, ma chi protesta?). Per giustificare il casino
successivo: «Quel che è successo dopo, è frutto forse di giudizi
approssimativi….» (mis-judgements). Quanto all’Afghanistan, «ci scusiamo
tantissimo per il tragico errore» (quasi un’ora di errori?);
naturalmente «è in corso un’approfondita inchiesta, e siamo sicuri che
non si ripeterà più».
Mentre
si avvia all’uscita, l’impassibile vice-segretario generale viene
omaggiato, con un altro blitz, della poesia Il mondo dopo la Nato,
«scritta da un profugo iracheno» le copie disponibili per i giornalisti
vengono invece sequestrate, «la leggo io la poesia».
Impatto
mediatico? Contenti i russi. Qualche foto è stata fatta. Alcuni
giornalisti locali nella fretta non hanno visto ma vengono a informarsi.
Il reporter di un’agenzia internazionale che in passato ha coperto
manifestazioni pacifiste a Roma senza però riuscire a farsi trasmettere,
osserva: «In altri tempi questo dissenso sarebbe costato. Adesso gli
rimbalza. Anzi, aiuta a parlare dell’evento Nato!» Eppure, se gesti così
si ripetessero ogni volta, come zanzare disturberebbero. Del resto, non
è nel farsi arrestare il senso di un’azione diretta con la quale si
irrompe «a casa del diavolo», proprio sotto il naso dei guerrafondai e
della supponente stampa mainstream. Il senso è far vedere che sappiamo.
Nel racconto di Andersen Gli abiti nuovi dell’imperatore, il bambino è
l’unico a dire all’imperatore che è nudo, a dirglielo in faccia.
Fine della storia della piccola azione diretta nonviolenta.
Ma
forse a qualcuno interessa anche uno sguardo dal di dentro, sulla
mattinata alla base militare fra cerimonie ed esibizioni statiche e in
volo. Visto che non erano presenti giornalisti anti-Nato. O almeno non
si sono espressi.
Ecco qua, per la serie «ho visto cose…». Al fondo, la poesia.
Antefatto. Tutti hanno sempre detto che un ente dannoso va sciolto
«Nato,
rest in peace». «Nato, riposa in pace». L’augurio più geniale rispetto
al destino della macchina da guerra atlantica risale al 1967: un libro
di Paul Martin per la «Campagna dei giovani per il disarmo nucleare». E
se in Italia tutto sommato possiamo puntare a un «Visto che è Nato,
morirà», non era male neanche «The Coming Dissolution of Nato» («Il
prossimo scioglimento della Nato»), titolo di uno scritto dell’attivista
statunitense Albert Weisbord pubblicato da La parola del popolo nel
1977. Weissbord sbagliò in pieno. Tempo prima, era stato invece
preveggente l’economista gandhiano J.C. Kumarappa. Pochi anni dopo la
nascita dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato) nel
1949 – dunque precedente il Patto di Varsavia - egli così scrisse: «Con
il pretesto dell’autodifesa, viene istituita la Nato: per dividere il
mondo in due blocchi. Grazie alla Nato, uno Stato aggressore riesce a
far dichiarare ‘aggressore’ la vittima e a usare contro questa le armi
unificate del grosso energumeno e dei suoi alleati» (pubblicato in
Economia della condivisione, Centro Gandhi).
In
effetti si proclama organizzazione per l’autodifesa collettiva ma fa
tutt’altro: negli ultimi anni ha disfatto la Libia, distrutto la
Jugoslavia, fatto danni in Afghanistan. Divora risorse e distrugge. Non è
semplicemente un ente inutile. E’ un ente disutile. E gli enti disutili
vanno cancellati.
La
Nato festeggia in questi giorni i quattro anni dall’uccisione del
leader libico Gheddafi, coronamento di sette mesi di bombardamenti in
appoggio ai «partigiani rivoluzionari». La Libia ridotta a failed state
esporta terrorismo. Ma la Nato non paga mai per i danni. Nessuno va in
prigione se per conto della stella a 4 punte uccide e rade al suolo. E
al massimo le vittime ottengono qualche migliaio di dollari di mancia.
Immunità, impunità.
Ecco
perché il cartello preparato per l’azione diretta non violenta davanti
alle facce dei kapò della Nato e dei remissivissimi media aveva due
messaggi: da una parte «La Nato va sciolta» (o dissolta), dall’altro «La
Nato non paga mai per i crimini».
19 ottobre, accredito alla mega-celebrazione di Trident Juncture. Giornalismo di pace
Purché
si possa citare qualche testata (anche nient’affatto mainstream), ci si
può far accreditare anche come free-lance, alle conferenze stampa della
Nato, che essendo buona non può censurare volgarmente. Durante la
guerra contro la Libia nel 2011 gli incontri mediatici si tenevano a
Napoli e a Bruxelles. Un’occasione per porre domande scomode, ottenendo
risposte che erano praticamente autodenunce. Occasione sprecata. Peccato
che i mediattivisti non pensino o non sappiano di questa possibilità.
Una sola domanda cattiva non basta. Farebbe la differenza una sfilza di
astuti perché, da parte di cinque-dieci giornalisti, ogni volta, in
successione. Si chiama giornalismo di pace.
Ovviamente
se oltre alle domande scomode si alzano anche cartelli di protesta e si
distribuiscono poesie post-Nato, non si otterranno ulteriori accrediti
dallo stesso ente. Dunque, occorrerebbe essere, a turno, in molti.
Arriva
via email dall’Allied Joint Force Command con base a Brunssum (Paesi
bassi), la risposta positiva alla domanda di accredito per la
«giornalista indipendente». L’evento sarà il 19 ottobre 2015, aeroporto
militare di Trapani, cerimonia di apertura delle manovre congiunte che
uno dei militari quel giorno definirà «tremendous display di forze». Da
Roma, pare, la Nato ha messo a disposizione un aereo per i giornalisti.
In tanti devono averne approfittato, atterrando direttamente vicino al
tendone della cerimonia. Infatti la mattina del 19 (tutto sommato il
viaggio in corriera Roma-Marsala non è stato male!), ad aspettare fuori
dai cancelli dell’aeroporto ci sono solo giornalisti locali, due
documentaristi russi e un cane di strada che dev’essere fresco di
abbandono, ancora bello e bianco, bisognoso di carezze; volentieri
accetta l’unico cibo a disposizione, mandorle. (Il soldato di piantone
non risponde alla domanda: «Ve ne prendete cura voi spero?».
Il
cartello è in borsa, piegato, dissimulato in un ingenuo faldone di
materiali su sicurezza alimentare e caos climatico (ma con la guerra,
tutto c’entra). «Lasciate le borse aperte lì in quella tenda», è
l’istruzione ai giornalisti. Ahi! Basta uno sguardo veloce lì dentro e
l’azione diretta andrà a monte. Invece no. La Nato - anzi meglio
l’esercito italiano - o non si aspetta o non teme il dissenso. Si
cautela invece contro gli attentati: metal detector e cani
anti-esplosivo non sono pagati per evitare le proteste verbali e
scritte.
La cerimonia, la mostra e il volo dei salvatori di civili indifesi
La
cerimonia di inaugurazione precede la conferenza stampa. Enorme tendone
attrezzato, tappeto blu Nato a terra. Presenti militari assortiti di
ogni ordine e grado, politici, uffici stampa; e stampa. Entrano le
bandiere dei trenta paesi che si eserciteranno. Purtroppo anche i
partner non membri, quelli che non partecipano alle guerre della Nato:
Svezia, Austria, Finlandia… Sugli spalti dei media, un cronista di Radio
Cuore è in brodo di giuggiole; è nel suo elemento: accompagna passo
passo le fasi, con voce baritonale e intenta. Una signora tacco 16 si fa
un autoscatto. E scattano tutti in piedi i media alle prime note del
guerrafondaio inno di Mameli. Scrutandoli dal basso, dal sedile, paiono
soldatini. La tentazione di estrarre adesso il cartello è forte, ma
sarebbe impossibile fare il discorsetto di spiegazione e il placcaggio
da parte di qualche addetto stellettato sarebbe così rapido da non far
percepire niente, se non che «una pazza si è lanciata contro le
bandiere». In questi contesti la conferenza stampa è l’unica che offre
un po’ di tempo. Accadde anche a Roma nel 2013 per l’azione contro Kerry
& Terzi & gli altri di fatto sostenitori di gruppi jihadisti.
I
discorsi sono a base di «La Nato lavora per la soluzione pacifica dei
conflitti, ma certo quando questa non funziona, abbiamo la capacità di
intervenire militarmente, nel quadro dell’Onu», «le più importanti
esercitazioni degli ultimi anni sono un segnale importante che i paesi
danno». Vershbow dice quel che ripeterà poi ai media. Un comandante
spiega che appunto si tratta di «combattere terrorismo e sovversione» e
le «sfide di regimi autocratici». Insomma «la Nato si adatta alle nuove
minacce». E’, Trident, un «tremendous spiegamento di forze per
rispondere a minacce da Nord, Est e Sud».
Poco
dopo, la conferenza stampa; e in seguito,, tutti nuovamente sui 4
pullman dei media, per un’altra tappa. Sulla pista aerea di cemento
adiacente al prato stanno fermi e disciplinati diversi aerei ed
elicotteri da guerra. Neri, grigi, marroncini, chiazzati. Le telecamere
si mescolano ai soldati, grande curiosità, le ferraglie quasi si possono
toccare! Poi ecco la sfilata aerea. Sfrecciano rumorosi, arrivano di
colpo, in rapida successione, come i fuochi artificiali. Gli elicotteri
si posano un po’ più in là, sul prato. Sarebbe di impatto mettersi a
correre sotto e contro quei rumori con uno striscione arcobaleno; o
almeno agitare un cartello, per qualche fotografo attento. Ma manca la
materia prima. La locandina «Nato Killing machine». scarabocchiata in
fretta sul pullman, fa appena in tempo a comparire che subito un giovane
soldato la strappa via. Inutile provare a scriverne un’altra sul prato.
«E’ entrata come giornalista, faccia la giornalista.»
L’ultima
occasione di protesta sarebbe il buffet, sotto un’altra tenda. Esporre
un cartellino tipo «La Nato mangia tanto»? Inutile, taccuini e
telecamere sono a riposo. Intanto un reporter della zona dice che a
causa della guerra in Libia l’astuta compagnia Ryan Air fu risarcita con
3 milioni di euro (il Comune molto meno) per aver subito una riduzione
dei voli da e verso trapani, a causa dei continui voli militari a due
tiri di schioppo dalle piste civili.
Comunque
nel ripartire in pullman - finalmente senza militari e senza media -
verso Palermo in un pomeriggio di fresco sole, e poi in nave per il
continente, viene in mente «Hanno fatto la manifestazione», nell’epica
canzone I treni per Reggio Calabria. Ma, a parte i cartelli scritti a
mano, si parla di tempi, il 22 ottobre 1972. Allora si rischiava molto
anche a manifestare pacificamente. Nell’Italia del 2015, invece, andare
alla marcia No - Trident Juncture per le vie di Napoli, il 24 ottobre, è
un obbligo senza spine.
Marinella Correggia
Ecco infine la poesia di Elias, sfollato iracheno
IL MONDO DOPO LA DISSOLUZIONE DELLA NATO
(ma in realtà si chiama “Il sogno di un uomo”)
La guerra finirà
pianteremo alberi
perché rimangano
non perché siano legna da ardere
con i nostri bambini e giovani e
anziani pianteremo fiori
alle frontiere
e grano nei campi dei soldati
trasformeremo le prigioni in musei.
La guerra finirà
faremo pace fra di noi
insieme sradicheremo le mine
come i contadini sradicano le infestanti
al ritmo dei suoni del raccolto
chiuderemo le fabbriche di armi
diventeranno ospedali e scuole materne
e i veicoli militari
diventeranno bus scolastici
una volta ridipinti con arcobaleni a onde.
La guerra finirà
alzeremo la bandiera dell’amore e della tolleranza
cantando per gli umani e la natura
applaudendo insieme
con risate e sorrisi puri
metteremo vasi di fiori alle nostre porte
ogni fiore da una parte diversa del mondo
ordiremo un arazzo colorato
ogni filo da una nazione.
La guerra finirà
ciascuno benderà le altrui ferite
pianteremo gelsomini
sulle tombe delle nostre vittim
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