giovedì 12 novembre 2015

BANDITALIA - LO STATO FINANZIA 17 MILIARDI ALLE BANCHE...

BANDITALIA - LO STATO FINANZIA 17 MILIARDI ALLE BANCHE...
Redazione | 11-11-2015 Categoria: Economia Stampa
 di Tino Oldani 
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Davvero Matteo Renzi pensa di mettere il segreto di Stato sui dossier relativi ai contratti in derivati stipulati dal Tesoro, con perdite accertate per 17 miliardi e altre perdite potenziali per un totale di 42 miliardi? Se è vero, come pensa di conciliare una simile decisione con il diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione, diritto sancito appena tre mesi fa dalla riforma firmata da Marianna Madia? Da tempo la Corte europea dei diritti dell'uomo ha riconosciuto l'accesso alle informazioni detenute dai governi come un diritto, e nel mondo ben 90 Paesi democratici hanno recepito tale diritto prima dell'Italia, facendo proprie le norme di quello che negli Usa è conosciuto come «Freedom of information act» (Foia). Benché criticabile sotto molti punti di vista, la riforma Madia ha introdotto una novità positiva, volta a favorire un rapporto di trasparenza tra il governo e la burocrazia da un lato, e i cittadini dall'altro.
Sembra però che il governo sia tentato di tradire questa riforma. Pochi giorni fa (8 ottobre) l'agenzia parlamentare Agenparl annunciava: «Oggi il presidente del Consiglio Matteo Renzi apporrà personalmente, come prescrive la legge 127/2007, il segreto di Stato sui contratti derivati stipulati dal Tesoro negli anni '90, che hanno determinato perdite di 16,9 miliardi di euro nel triennio 2012-2014». Una mossa, aggiungeva l'agenzia, volta a impedire l'accesso ai dossier detenuti dal direttore generale del debito pubblico, Mario Cannata, accesso chiesto a più riprese da Elio Lannutti, presidente dell'Adusbef, e da alcuni deputati grillini, e finora sempre rifiutato da Cannata. Sulla legittimità dei «no» di quest'ultimo sembra però che siano sorti dei dubbi, tanto più che,
in base alla legge 127/2007, solo il presidente del Consiglio può imporre il vincolo della segretezza di Stato «su atti, documenti, notizie, attività, cose e luoghi la cui conoscenza non autorizzata può danneggiare gravemente gli interessi fondamentali dello Stato».
Almeno finora, la firma di Renzi non c'è stata. Ma la questione va chiarita: rendere di pubblico dominio le clausole dei contratti in derivati stipulati dai superburocrati del Tesoro con 21 banche nel corso degli anni, può davvero costituire un danno grave per gli interessi dello Stato? Oppure mira a nascondere gli errori compiuti dai superburocrati del Tesoro, quando hanno firmato i contratti con le banche, errori costati molto cari, con perdite di miliardi, che in parte (16,9 miliardi) sono già state scaricate sui contribuenti con le leggi di Stabilità degli anni scorsi? E se così fosse, è forse con il segreto di Stato che il governo pensa di coprire l'ipotesi di ulteriori perdite, fino al totale stimato di 42 miliardi?
Per prudenza, va detto che la somma di 42 mld si riferisce a una perdita teorica, indicata dall'Adusbef in due denunce, una alla procura della Repubblica di Roma e l'altra alla Corte dei Conti, in cui si precisa che «a fronte di un debito pubblico di oltre 2.150 miliardi, lo Stato italiano ha stipulato contratti derivati per un controvalore nominale di almeno 160 mld, che al 31 dicembre 2014 avevano un valore di mercato (mark-to-market) negativo per oltre 42 mld». Dunque, non una perdita reale, ma la somma che il Tesoro dovrebbe sborsare alle controparti bancarie «qualora i contratti venissero chiusi alle attuali condizioni di mercato».
I contratti in derivati sono vere e proprie scommesse ad alto rischio. Ne sa qualcosa il Monte dei Paschi, che però ci ha rimesso denari propri. Nel caso del Tesoro, invece, le perdite sono a carico dei contribuenti, costretti a pagare con le imposte gli errori compiuti da pochi superburocrati, con la copertura del governo pro tempore. Per questo nel marzo scorso l'Adusbef e la Federconsumatori avevano denunciato alla Procura di Roma l'ex premier Mario Monti, i dirigenti del Tesoro e alcuni ministri, per avere «negoziato derivati capestro, con perdite pagate alla banca d'affari Morgan Stanley per 2,5 miliardi». Denuncia trasferita in seguito dal procuratore Nello Rossi al tribunale dei ministri.
L'Adusbef ha trovato di recente un alleato politico in alcuni deputati del M5s, i quali hanno chiesto di poter accedere agli atti amministrativi del governo, avendo in risposta un secco rifiuto. Da qui una nuova denuncia, presentata una settimana fa da 90 parlamentari grillini e da Lannutti, alla procura della Repubblica di Roma e alla Corte dei conti, dove le ipotesi di reato sono «sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato» (255 c.p.) e «usurpazione di potere politico» (287 c.p.). Un'offensiva a cui Renzi, secondo l'Agenparl, opporrebbe il segreto di Stato, per troncare la contesa e chiudere la partita.
Se così fosse, un simile atto di forza sarebbe soltanto un segno di debolezza, per non dire un'ammissione di colpa. Più che sul lavoro, l'Italia sembra ormai una Repubblica fondata sugli scontrini. Qui però non ci sono di mezzo alcuni pranzi messi a carico dei contribuenti, una bagatella al confronto di circa quarantana di miliardi, che sono la vera posta in gioco. Piaccia o no, la trasparenza degli atti del Tesoro è doverosa, un diritto acquisito con il «Freedom of information act» della riforma della pa. E con la scelta che farà, Renzi metterà in gioco la sua credibilità riformatrice.

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